Il Kulturame voleva scrivere un pezzo satirico: come idea doveva essere un discorso cretino di un piccolo rivoluzionario del XXI° secolo cretino pieno di cretinate espresse con un linguaggio cretino reminiscente di un'epoca passata popolata da cretini.
Il Kulturame desiderava, per una volta, usare la sottile ironia piuttosto che il rozzo sarcasmo.
Voleva che sembrasse vero, plausibile, e perciò si è messo a fare coscienziosamente le sue ricerche imbattendosi in questo.
E' perfetto.
Nessun bisogno di scriverlo noi, più cretino di così non poteva venire.
Solo che quello che l'ha scritto parla sul serio.
E' dura essere sottilmente ironici in un mondo come questo.
Una guerra dichiarata e non resa ufficiale contro il bolivarismo
Mentre il bolivarianismo, risemantizzato anche come socialismo del secolo XXI, esprime la speranza di redenzione del popolo venezuelano e, per estensione, di tutti i nostri popoli americani e degli oppressi del mondo, il capitalismo, sia nella sua versione tradizionale o convenzionale che in quella patibolare versione neoliberale, rappresenta lo smisurato affanno per l’accumulazione di ricchezze a costo dell’oppressione e del crescente sfruttamento della stragrande maggioranza della popolazione.
Non bisogna nemmeno serbare dei dubbi. L’elite americana e i suoi lacchè creoli ci hanno dichiarato la guerra per il semplice fatto che il progetto bolivariano, capeggiato dal presidente Hugo Chávez Frías, simboleggia una visione del mondo, della vita e della società assolutamente contrapposta con quello che vuole significare e pretendere il sistema capitalista di cui la cupola americana rappresenta la massima espressione.
Mentre il bolivarianismo, risemantizzato anche come socialismo del secolo XXI, esprime la speranza di redenzione del popolo venezuelano e, per estensione, di tutti i nostri popoli americani e degli oppressi del mondo, il capitalismo, sia nella sua versione tradizionale o convenzionale che in quella patibolare versione neoliberale, rappresenta lo smisurato affanno per l’accumulazione di ricchezze a costo dell’oppressione e del crescente sfruttamento della stragrande maggioranza della popolazione e, quel che è peggio,a scapito della vita stessa sul pianeta terra o PACHAMAMA come è denominata dai nostri fratelli boliviani.
Questa scelta di voler recidere il processo rivoluzionario è stata presa dal vertice imperiale appena si ebbe la conferma del trionfo del comandante Chávez nelle elezioni del 1998.
Chi se non i più cospicui rappresentanti imperiali per individuare, sin dalle sue origini, l’orientamento e il compromesso militante e sovversivo che implicavano l’ascesa di Chávez alla carica presidenziale di un paese strategicamente così importante come il Venezuela per via della sua posizione geopolitica e per le sue grandi risorse energetiche.
Strategia controrivoluzionaria
L’elite imperiale concepì una strategia controrivoluzionaria che mirava principalmente al troncamento del progetto bolivariano e implicava lo spiegamento di molteplici fronti d’azione nel campo politico, diplomatico, economico, militare, mediatico, ecc., destinate, in un primo momento, alla destabilizzazione, indebolimento, e deterioro del progetto chavista e successivamente, in un secondo momento, nell’accrescimento delle azioni per procedere con il suo rovesciamento, usando come leva detonante l’intervento militare.
Esiste un ampio spettro di certezze che consentono di illustrare questo approccio: dall’offerta di ottocento (800) marines da stanziare nel porto di La Guaira, adducendo come pretesto la solidarietà di fronte alla tragedia della frana accaduta nella regione Vargas nel mese di dicembre del 1999, passando per l’aggressione sistemica della canaglia mediatica tanto a livello locale quanto su quello internazionale; il proposito di isolarci, in quanto paese, negli ambienti diplomatici; la pressione economica esercitata tanto da parte delle organizzazioni internazionali quanto dalle azioni sviluppate da parte delle organizzazioni imprenditoriali all’interno del paese; le pratiche evidentemente invalidanti delle organizzazioni politiche e della cosiddetta società civile, gerarchia ecclesiastica compresa, invitando a ignorare la Costituzione, le leggi abilitanti e il governo legittimamente costituito; il colpo di stato del mese d’aprile 2002; il sollevamento mediatico-militare della Piazza Altamira; lo sciopero petrolifero – imprenditoriale del 2002-2003; il rifiuto del dialogo nazionale proposto dal governo nazionale; le guarimbas; l’invito a non pagare gli obblighi fiscali; le incessanti e inclementi campagne mediatiche che falsano la realtà, diffuse dalle aziende private della comunicazione; la diretta ingerenza dell’ambasciata americana nella vita politica del paese; il rifiuto da parte dei governi americani di rispettare i contratti militari sottoscritti con il nostro paese con il manifesto intento di impedire il funzionamento degli aerei militari; l’allestimento di piani Omicidi nei confronti della persona del presidente; l’importazione del paramilitarismo e dei sicari colombiani come elemento detonante del caos; l’insicurezza e lo stimolo all’ingovernabilità; le vili campagne destinate a identificare il governo bolivariano con il narcotraffico e con elementi del terrorismo internazionale, ecc., e come queste, tantissime altre evidenze che costituiscono un ammasso di elementi per il sostentamento della strategia controrivoluzionaria contro il nostro paese.
Errore iniziale: sottostimarono Chávez e il popolo bolivariano
L’imperialismo e i loro lacchè commisero un grave errore, grave per quanto concerne la riuscita dei loro piani, cioè, sottostimare Chávez e ignorare olimpicamente la presa di coscienza politico-ideologica del valoroso popolo venezuelano. Nonostante la tecnologia in loro possesso, rozza esperienza destabilizzante –messa in pratica in molti paesi del nostro continente e del mondo- e le ingenti risorse di cui disponevano non riuscirono a calibrare la qualità e la profondità del salto storico rivoluzionario che si stava sviluppando ed è in piena espansione nella patria di Simón Bolívar, i cui ideali redentori, libertari, integrazionisti ed etici servono di guida promissoria.
Questa sola sequenza di fatti, piani e avvenimenti evidenzia l’ingerenza americana nel nostro paese; nulla di tutto ciò o quasi nessuna di queste indegne e sfacciate iniziative si sarebbe potuta realizzare senza l’appoggio, l’avvedutezza e la diretta e decisiva partecipazione delle diverse agenzie internazionali affiliate al governo americano. Uno Stato che agisce in questo modo è perché ha dichiarato la guerra allo Stato oggetto di tali ingerenze; l’interpretazione più basilare del diritto internazionale così lo determina. Questa è una guerra dichiarata, sistematica, informale, anche se non resa ufficiale.
Guerra dichiarata non resa ufficiale che si fa sempre più evidente nella misura in cui si consolida il progetto bolivariano, si approfondisce il suo orientamento socialista e la sua tendenza integrazionista, assestando, di conseguenza, maggiori sconfitte politiche e ideologiche alle forze retrive controrivoluzionarie in quegli spazi nei quali si mette in scena il confronto.
Disperazione dell’impero
La disperazione dell’impero si fa sempre più manifesta, diventando meno sottile il suo azionare, dove la variabile militare assume un ruolo sempre più preponderante nel disegno strategico che è in atto.
Sotto questo aspetto è opportuno rilevare i seguenti fatti:
• La riattivazione della IV Flotta (ottobre 2008) destinata a operare nell’Atantico Sud, la quale non agiva più da 52 anni.
• L’insediamento di 7 nuove basi militari nel territorio colombiano, le quali, se sommate a quelle già esistenti in quel paese con quelle installate ad Aruba e Curaçao, Panama e Perù e un’altra la cui costruzione è prevista, probabilmente, nella Guyana francese, implica, né più né meno, l’erigere un assedio strategico intorno al Venezuela.
• Lo sbarco di 20.000 marines a Haiti (da gennaio 2010) con il pretesto di prestare assistenza, militare? In occasione dell’emergenza dichiarata in seguito al terremoto avvenuto in quel tormentato paese fratello.
• L’inusitato interesse manifestato verso la regione sudamericana da parte degli alti funzionari politici e militari americani.
• il colpo di stato in Honduras (luglio 2009) ordito per arrestare, in qualche maniera, l’avanzata del sentimento bolivariano in Centroamerica e per indebolire l’Alleanza Bolivariana delle Americhe (ALBA).
• Il clima bellicista che hanno promosso in Colombia a sostegno della politica antivenezuelana, militarista e d’ingerenza appoggiato dall’oligarchia narcoparamilitare che è alla guida del paese vicino.
• A tutto questo bisogna aggiungere l’imperversare della campagna che si è scatenata mediante tutto l’apparato mediatico internazionale, la quale è incline presentare il governo bolivariano come vincolato al narcotraffico e al terrorismo internazionale (o a ciò che loro qualificano come tale) con il proposito di creare un espediente nei confronti dello Stato venezuelano che consenta di classificarlo come Stato canaglia e sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale verso qualsiasi misura sanzionatoria, così come in precedenza fecero con l’Iraq, accusandolo di possedere armi chimiche di distruzione di massa e che fino a oggi non sono state rinvenute, dopo sette anni d’invasione.
Strategia bolivariana
Questo insieme di fattori che abbiamo fin qui riferito, pone in evidenza la strategia imperiale orchestrata per affrontare la rivoluzione venezuelana. La guerra dichiarata e non resa ufficiale è in atto. L’imperialismo non si placa nella sua brama di distruggere il progetto di cambiamento bolivariano, il cui consolidamento significherebbe un maggiore indebolimento da parte di un impero agonizzante che oppone resistenza nel voler perdere l’egemonia esercitata sul mondo durante il secolo XX e che ora presagisce che, nonostante il suo potere smisurato, si screpola significativamente. La perdita dell’influenza che storicamente ha avuto in America latina, il suo tradizionale cortile posteriore, sarebbe il più contundente indicatore del processo di estinzione di questo impero.
Il nostro popolo, insieme al governo bolivariano, si deve preparare per affrontare i duri momenti che si approssimano. Alla strategia di guerra imperialista dobbiamo rispondere con la strategia bolivariana di guerra da parte di tutto il popolo. Altri popoli l’hanno applicata e sono usciti vincitori da quel compromesso con la storia. Lì abbiamo, ad esempio, l’eroico e vittorioso Vietnam, il quale celebra in questo mese d’aprile i 35 anni di trionfo della sua guerra d’indipendenza dall’imperialismo americano. Lì si trova anche Cuba, degna ed eroica, che ha saputo resistere durante 51 anni alla furia imperiale.
E qui stiamo noi, i venezuelani bolivariani, affianco ai nostri fratelli latinoamericani, festeggiando il bicentenario delle nostre indipendenze, disposti a difendere con coraggio e dignità la sovranità che abbiamo riconquistato in questi 12 anni di sviluppo del progetto bolivariano e di costruzione del socialismo del secolo XXI.
Di fronte alla guerra dichiarata e non resa ufficiale, stimolata dall’imperialismo, bisogna rispondere con la guerra di tutto il popolo!.
Di fronte alla guerra mediatica imperiale, bisogna rispondere con la guerra popolare di comunicazione!
Rafforziamo la Milizia Bolivariana!
(trad. di V. Paglione)