venerdì 13 gennaio 2012

Kulturame Classici: The Not So Dark Trade.

Une recensione di Wellington.

     
Il documentario del National Geographic Illicit: The Dark Trade è molto interessante, ma non lo capisco.

Si tratta essenzialmente di una trasposizione dell'omonimo libro di Moises Naim, direttore della rivista Foreign Policy* e membro del Carnegie Endowment for International Peace# sulle nuove frontiere del contrabbando e include tra le altre cose una parte su Napoli e la Camorra con tanto di intervista a Roberto Saviano e visita a Scampia.

Il documentario cerca di esporre le moderne frontiere del contrabbando che ormai è, come ogni altra cosa, globalizzato. A me personalmente non ha insegnato niente che non sapessi già, tuttavia, per coloro che non avessero familiarità con l’argomento vale senz’altro la pena di essere visto.

Oggi si contrabbanda di tutto e dappertutto: copie di indumenti firmati e oggetti di moda, droga, armi, denaro (riciclaggio), farmaci fasulli, immigrati clandestini, animali, organi umani. Le organizzazioni malavitose organizzano il tutto e ne traggono grossi profitti.

Quello che mi lascia perplesso è che tutto il documentario ha un tono di drammaticità nemmeno si stesse parlando del bombardamento di Coventry°. Guardandolo la domanda che continuava a venirmi in mente è: "tutto questo è molto interessante, ma perchè mai dovrei essere terrorizzato?".

Vero che nella comunicazione di massa di oggi i toni allarmati sono praticamente d’obbligo, ma qui mi sembra lo siano in maniera eccessiva e soprattutto per motivi non troppo chiari. La cosa mi da’ l’impressione che piuttosto che informazione, questo documentario voglia fornire indignazione per salotti radical-chic.

     


Il documentario inizia col rivelarci che il 10% del commercio mondiale è illegale. Questo significa che il 90% è legale, non un brutto risultato direi. Eppure il documentario presenta questo dato come fosse l’arrivo dei quattro cavalieri dell’apocalisse.

Tanto per cominciare, e a costo di diventare filosofici, tutto il commercio mostrato nel documentario è illegale, ma quanto di esso è davvero criminale?

La maggior parte dei beni di contrabbando mostrati nel documentario sono relativamente innocui e sono nelle mani della malavita solo perchè qualcuno ha pensato bene di creare leggi per proibirne o restringerne la vendita, spesso per immaginifiche ragioni^.

Considerate per esempio il Dr. Minxin Pei del Carnegie Endowment for International Peace che descrive il business delle contraffazioni in Cina: "Per i funzionari locali [i contraffattori] sono un assetto economico positivo. Creano lavoro, creano prosperità, pagano le tasse e pagano tangenti ai funzionari locali".

Non per fare il Libertario duro e puro, ma a me pare che, messa così, in questo passaggio il problema più che i contraffattori appaia essere il governo e, al massimo, i funzionari pubblici. Il primo costringe gente che crea lavoro e ricchezza a pagare le tasse e appunta funzionari che approfittano delle restrizioni che impone. 2 a -2 per i contraffattori.

Come asserisce un investigatore delle dogane: "I profitti sono immensi. E’ più conveniente che spacciare droga e molto più sicuro". Altra affermazione che si suppone dovremmo trovare preoccupante

Si, lo so, in questo particolare caso c’è la faccenda sacrosanta dei diritti di copyright. Ma è chiaro che qui si tratta di un problema intrinseco alla natura della bestia e pertando ineliminabile. Almeno in maniera definitiva.

Quando nel 17° Secolo Antonio Stradivari costruiva violini se li faceva pagare più dei violini costruiti da altri liutai perchè sapeva costruire violini migliori, non perchè ci metteva sopra un suo qualche logo. Chi avesse voluto guadagnare quanto lui avrebbe dovuto essere bravo quanto lui. Questo è andato (parzialmente) alle ortiche con l’industrializzazione e la produzione di massa. Ancora oggi chi progetta e costruisce lavatrici migliori le può vendere a maggior prezzo. Ma imitare il design di una lavatrice di successo, sia che si voglia venderla col proprio marchio, sia che si voglia venderla sotto marchio originale falso, è solo una questione di possederne lo schema tecnico e avere un minimo di capacità industriali. Figuriamoci poi un paio di jeans. Peggio ancora per quanto riguarda la tecnologia digitale che può duplicare prodotti, come file audio o video, con pochi click del mouse di un computer. 

Si capisce che i progettisti e i produttori si lamentino e vogliano limitare il fenomeno, ma ad essere realistici, non potranno mai riuscirci completamente. La contraffazione è un problema, ma una certa misura di contraffazione esisterà sempre, inutile presentare il fenomeno come una sorta di evento innaturale.

     


Ma di chi è la colpa di tutto questo contrabbando globale? "Degli anni '90", esclama drammaticamente il documentario. Il mondo si è globalizzato e "i cattivi si sono accodati". Ma no? E cosa ci si aspettava che facessero? Come dire che l'invenzione della navigazione ha generato i pirati o che l’invenzione dell’automobile ha generato i ladri di automobili. La vera domanda sarebbe: ne valeva la pena. Mi incuriosirebbe vedere il risultato se al documentario fosse chiesto di rispondere esplicitamente a questa domanda, cosa che non fa.

Forse che si vuole suggerire, come pure Roberto Saviano fa riguardo l’imperio della Camorra nel suo “Gomorra”, che questi illeciti sono “un fallimento del libero mercato” (o altre frasi di tale effetto)?

Spero di no, perchè se è così c’è molto poco di convincente nel documentario.

Come si sposta un tale volume di merci illecite attraverso i controlli delle frontiere? Il documentario ce lo dice chiaramente: mazzette ai funzionari pubblici. Fallimento del mercato?

"Le reti criminali si sono adattate a queste novità più velocemente delle attività legali", dice Moises Naim. Qualcuno vuole provare a immaginare il perchè i criminali sono migliori uomini d’affari delle persone perbene (o anche perchè i migliori uomini d’affari si danno al crimine)? Non c'entrerà l'elefantiasi dello Stato e la sua proverbiale capacità di tagliare le gambe all'iniziativa di chi segue le sue regole?

Nel documentario ci viene presentata la storia di un farmaco contro la tosse fasullo, fabbricato in uno stabilimento non autorizzato in Cina, venduto a una compagnia statale cinese di distribuzione di prodotti farmaceutici e da questa ad un intermediario in Spagna e quindi a un secondo intermediario a Panama e qui distribuito dai servizi sanitari statali panamensi alla popolazione provocando la morte di un centinaio di persone. Fallimento di chi? Vediamo un po’: chi nel nostro assetto politico si arroga il diritto di decidere quali farmaci sono legali, in quanto non letali, e quali no e a chi pertanto spetta l’onere di controllare?

      


Non mi è molto chiaro a cosa sia dovuto il tono preoccupato che pervade i cinquantacinque minuti del filmato. E' perchè ciò che sfugge al controllo dello Stato lo indebolisce? In tal caso, in primo luogo, la questione si fa per me un tantino filosofica, ma resta da vedere se merita toni di allarme o di sorpresa.

Laddove i networks criminali proliferano, tendono a diventare così potenti da soppiantare lo Stato. Vero e, si, preoccupante, ma dove sarebbe la novità che meriti scandalo? Qualcuno al National Geographic ha controllato di recente nella storiografia di ogni civiltà esistente ed esistita in che maniera lo Stato è nato ed è diventato sovrano? Lo Stato è solo una mafia che ha avuto successo. Si capisce che, in quanto monopolista, voglia eliminare i concorrenti, ma i toni da fine dei tempi perchè i concorrenti esistono ce li può anche risparmiare.

"Questi networks [criminali]” – osserva sempre Moises Naim – “hanno ormai così tanto denaro da comprarsi un immenso potere politico. Come risultato vediamo in tutto il mondo una crescente criminalizzazione della politica. I criminali entrano in politica e i politici diventano criminali. [...] Su una scala che non abbiamo mai visto".

Bocca mia taci.


Non che nel documentario, stanti tali toni da drammatica emergenza, manchino accenni a possibili soluzioni. Ci viene ripetuto più volte che il problema è che i confini impediscono ai governi di ciascun paese di agire in maniera efficace. Nelle parole di Naim "abbiamo bisogno di uno sforzo internazionale". Qualche altra proposta più vaga?

Però l'impressione che complessivamente si riceve da Illicit è a tratti più mistica. Sembra quasi che agli autori risulti intollerabile che al mondo esista qualcosa che elude il controllo di una qualche autonominata elite. Un arrovellarsi in un certo modo ingenuo su quante persone che non seguono le regole esistono sul pianeta.

Verso la conclusione del documentario Moses Naim sospira frustrato che la causa di base del problema è l'avidità umana. No! E perchè non l'hai detto subito? Basta abolire l'avidità umana e tutto andrà a posto.

Toni che mi fanno venire in mente ancora una volta, nel caso nhe avessi sentito il bisogno, quanto tutto ciò che si fregia di titoli altisonanti riguardanti progetti universali a lunghissimo termine, tipo Carnegie Endowment for International Peace= , finisca soltanto per produrre quello che in Inglese si definirebbe "bitching" o "whineing". Questo mentre palazzinari cinesi semianalfabeti costruiscono imperi della borsetta di Gucci fasulla. Sulla scala della sopravvivenza delle civiltà umane secondo voi quale tra chi ha i primi e chi ha i secondi ha maggiori possibilità?

Nonostante i suoi toni apocalittici la cosa più inquietante del documentario in effetti è, a mio avviso, la conclusione di Moises Naim: "Non faremo mai progressi nella lotta al commercio illecito se non comprendiamo che alla base esso riguarda chi compra e chi vende (ooooh, look who's there! Economy 101. NDW). Dobbiamo guardare alla domanda, ai compratori, che generano questo commercio". Eliminare l'offerta eliminando la domanda. Questa dichiarazione mi ricorda troppo da vicino troppe altre soluzioni repressive e proibizioniste farlocche (e costose) già fallite in passato (tipo droga e prostituzione per intenderci).

Il fatto è che se c’è gente disposta, allo scopo di potersi vantare con gli amici di aver speso un sacco di soldi per un oggetto di lusso, a pagare mille euro una borsetta costata al produttore tre euro solo perchè un famoso stilista ci ha messo sopra il suo logo, la stessa persona è probabilmente ben felice di spendere trenta euro per una copia perfetta di tale borsetta che faccia credere ai suoi amici la stessa cosa. Accertato ciò, qualche bacchettone del Carnegie Endowment non deve far altro che trovare un rimedio per la vanagloria umana.


NOTE:

*nota rivista gay di Washington DC (NDK).
#creatura vicina al dipartimento di Stato USA (NDW).
° non porto come esempio Dresda perchè non mi interessa essere a-la-page (NDW).
^per una interessante disamina su cosa è inutilmente e dannosamente illegale o regolato vedere, nel caso improbabile si riesca a trovarlo in libreria o in biblioteca, Difendere l’Indifendibile di Walter Block (NDW).
=si, si, lo so che in realtà non si tratta ne' di un salotto bene ne' di un centro sociale occupato, ma allora forse farebbe bene ad evitare di sembrarlo (NDW).


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