Un recensione di Wellington.
Sicuramente Hollywood deve essere venuta a sapere che negli ultimi anni i nostri rapporti erano alquanto degenerati (tanto che stavo addirittura ripiegando sui film di Bollywood) e ora sta cercando di fare la pace con me. Solo così posso spiegarmi come mi possano essere piaciuti due film provenienti dalle colline di L.A. in due giorni.
Battle: Los Angeles in teoria avrebbe dovuto essere esattamente tutto quello che mi ha creato problemi con Hollywood recentemente: scene d'azione sborone con effetti speciali e colori ultravivaci su trame profonde quanto una pozzanghera, e invece le scene d'azione sono più che decenti, l'ambientazione "grunt" (i protagonisti sono un plotone di Marines) è gustosa, la trama, per quanto molto poco originale, regge. E come chicca appare il Sergente Maggiore Dever.
Ma in realtà sono qui per parlarvi del secondo film che per me si è rivelato una gradita sorpresa, perché a differenza di quanto mi aspettavo riesce ad avere una trama epica senza discendere in squallidi sermoni e pseudo-metafore sul "mondo in cui viviamo", si tratta di The Book of Eli (Codice Genesi in Italiano).
In un mondo post-apocalittico sconvolto, pare di capire, da una guerra nucleare e in preda alle solita accoppiata barbarie/anarchia si aggira solitario, procedendo capoticamente "verso ovest", un uomo di nome Eli. E' un uomo con una missione, o meglio, con un carico prezioso: un libro. Pare infatti che il dopoguerra abbia generato roghi di libri considerati colpevoli di diffondere idee che hanno portato alla catastrofe, e Eli è deciso a preservare almeno questo libro dalla distruzione. Lungo il cammino il nostro capita in una cittaducola dominata da un cattivissimo boss locale con serie manie di grandezza, ma non per questo stupido o ignorante della natura umana, che proprio quel libro sta cercando disperatamente da anni.
E mi fermo qui.
Ora, adesso magari quelli che hanno visto il film mi rimprovereranno che questa è una versione piuttosto edulcorata della trama, ma il fatto è, ragazzi, che al mondo ci sono anche quelli che il film non l'hanno visto e davvero non voglio postare spoiler, soprattutto perchè la sceneggiatura fa un uso così abile del colpo di scena.
L'ambientazione postnucleare è particolarmente ben studiata, non ci sono "omaggi" inutili, da nerd, ad altri film e soprattutto è originale. In questo particolare metauniverso post-apocalittico il problema principale sembrano essere i raggi ultravioletti che rendono la terra arida, bruciano la pelle esposta e a lungo andare friggono le retine (impossibile aggirarsi all'aperto senza occhiali da sole, il che rende questo film popolato dai sopravvissuti più cool della storia del cinema).
Questa è di fatto una teoria della guerra fredda secondo la quale l'esplosione aerea di centinaia di bombe all'idrogeno provocherebbe uno squarcio nello strato di ozono che protegge il pianeta. Non so quanto sia tecnicamente corretta, ma è comunque più originale del solito "inverno nucleare", e sicuramente più probabile dei triti "mutanti" tanto cari alla fantascienza/horror. E questo "in my book" (e in quello di Eli), mostra che gli sceneggiatori si sono sprecati a fare i compiti a casa invece di rifriggere roba già vista, come sarebbe stato molto comodo fare perché tanto non sarebbe importato a un pubblico ormai assuefatto e rassegnato alla pigrizia hollywoodiana.
L'ambientazione post-nucleare in generale mi ricorda davvero molto i romanzi pulp della serie "Deathlands" con i quali mi baloccavo da adolescente*, un misto di catastrofismo e western. Solo che qui non ci sono rettili mutanti e simili sciocchezze, perciò si tratta di un più che notevole upgrade. Nel postapocalittico, per dirla con Eli, "si uccide per quello che una volta buttavamo via", tanto che le salviette togliti-un-po'-quell'unto-dalle-dita usa e getta del Kentucky Fried Chicken sono considerate merce preziosa in un mercato in cui l'acqua è diventata la risorsa più scarsa in assoluto.
Ben assemblato il cast, a partire dal sempre valido Denzel Washington (nel ruolo del nostro eroe), un Gary Oldman d'annata (proprio nel senso che è invecchiato in maniera sconvolgente, sembra una versione imbruttita dell'Ammiraglio Adama di Battlestar Galactica, mentre il suo personaggio è una versione incattivita della Presidentessa), Ray Stevenson (il Legionario Tito Pullo di 'Roma' che però questa volta non ha scene di nudo frontale, quindi non c'è da temere crisi da confronto), la giovane, gradevole (alla vista e per la recitazione) Mila Kunis, una Jennifer Beals che appare poco ma che riesce comunque a lasciare il segno, il cantante jazz/blues cult Tom Waits (Jockey Full of Bourbon) e, come cameo, Malcom McDowell.
Le scene d'azione sono "probabili", senza granate che tirano giù un viadotto o pistole che fanno centro a duecento metri, per quanto si potrà dire che Eli, per essere un vagabondo con un libro nello zaino, combatte meglio di un ninja e che sarebbe carino se impugnasse quella maiala di H&K USP .45 con due mani che questo non è un film di Sergio Leone.
Ma vabbé, in fondo è lui l'eroe, e poi pare che Denzel Washington in preparazione per il film si sia addestrato con Dan Inosanto e Jeff Imada, famosissimi maestri° di Kali, l'arte marziale filippina considerata la più efficace nell'uso delle armi da taglio. Il che, stando allo "Standard Val Kilmer degli attori di Holllywood in film d'azione" lo mette al pari di uno del SAS come minimo.
Il Kulturame continuerà a preferire la zombie apocalypse, ma il mio post-apocalittico mi piace libraio, e la prossima volta che lo incontro gli controllo le mani per vedere se tremano, allo zozzone#.
Battle: Los Angeles in teoria avrebbe dovuto essere esattamente tutto quello che mi ha creato problemi con Hollywood recentemente: scene d'azione sborone con effetti speciali e colori ultravivaci su trame profonde quanto una pozzanghera, e invece le scene d'azione sono più che decenti, l'ambientazione "grunt" (i protagonisti sono un plotone di Marines) è gustosa, la trama, per quanto molto poco originale, regge. E come chicca appare il Sergente Maggiore Dever.
Ma in realtà sono qui per parlarvi del secondo film che per me si è rivelato una gradita sorpresa, perché a differenza di quanto mi aspettavo riesce ad avere una trama epica senza discendere in squallidi sermoni e pseudo-metafore sul "mondo in cui viviamo", si tratta di The Book of Eli (Codice Genesi in Italiano).
In un mondo post-apocalittico sconvolto, pare di capire, da una guerra nucleare e in preda alle solita accoppiata barbarie/anarchia si aggira solitario, procedendo capoticamente "verso ovest", un uomo di nome Eli. E' un uomo con una missione, o meglio, con un carico prezioso: un libro. Pare infatti che il dopoguerra abbia generato roghi di libri considerati colpevoli di diffondere idee che hanno portato alla catastrofe, e Eli è deciso a preservare almeno questo libro dalla distruzione. Lungo il cammino il nostro capita in una cittaducola dominata da un cattivissimo boss locale con serie manie di grandezza, ma non per questo stupido o ignorante della natura umana, che proprio quel libro sta cercando disperatamente da anni.
E mi fermo qui.
Ora, adesso magari quelli che hanno visto il film mi rimprovereranno che questa è una versione piuttosto edulcorata della trama, ma il fatto è, ragazzi, che al mondo ci sono anche quelli che il film non l'hanno visto e davvero non voglio postare spoiler, soprattutto perchè la sceneggiatura fa un uso così abile del colpo di scena.
L'ambientazione postnucleare è particolarmente ben studiata, non ci sono "omaggi" inutili, da nerd, ad altri film e soprattutto è originale. In questo particolare metauniverso post-apocalittico il problema principale sembrano essere i raggi ultravioletti che rendono la terra arida, bruciano la pelle esposta e a lungo andare friggono le retine (impossibile aggirarsi all'aperto senza occhiali da sole, il che rende questo film popolato dai sopravvissuti più cool della storia del cinema).
Questa è di fatto una teoria della guerra fredda secondo la quale l'esplosione aerea di centinaia di bombe all'idrogeno provocherebbe uno squarcio nello strato di ozono che protegge il pianeta. Non so quanto sia tecnicamente corretta, ma è comunque più originale del solito "inverno nucleare", e sicuramente più probabile dei triti "mutanti" tanto cari alla fantascienza/horror. E questo "in my book" (e in quello di Eli), mostra che gli sceneggiatori si sono sprecati a fare i compiti a casa invece di rifriggere roba già vista, come sarebbe stato molto comodo fare perché tanto non sarebbe importato a un pubblico ormai assuefatto e rassegnato alla pigrizia hollywoodiana.
L'ambientazione post-nucleare in generale mi ricorda davvero molto i romanzi pulp della serie "Deathlands" con i quali mi baloccavo da adolescente*, un misto di catastrofismo e western. Solo che qui non ci sono rettili mutanti e simili sciocchezze, perciò si tratta di un più che notevole upgrade. Nel postapocalittico, per dirla con Eli, "si uccide per quello che una volta buttavamo via", tanto che le salviette togliti-un-po'-quell'unto-dalle-dita usa e getta del Kentucky Fried Chicken sono considerate merce preziosa in un mercato in cui l'acqua è diventata la risorsa più scarsa in assoluto.
Ben assemblato il cast, a partire dal sempre valido Denzel Washington (nel ruolo del nostro eroe), un Gary Oldman d'annata (proprio nel senso che è invecchiato in maniera sconvolgente, sembra una versione imbruttita dell'Ammiraglio Adama di Battlestar Galactica, mentre il suo personaggio è una versione incattivita della Presidentessa), Ray Stevenson (il Legionario Tito Pullo di 'Roma' che però questa volta non ha scene di nudo frontale, quindi non c'è da temere crisi da confronto), la giovane, gradevole (alla vista e per la recitazione) Mila Kunis, una Jennifer Beals che appare poco ma che riesce comunque a lasciare il segno, il cantante jazz/blues cult Tom Waits (Jockey Full of Bourbon) e, come cameo, Malcom McDowell.
Le scene d'azione sono "probabili", senza granate che tirano giù un viadotto o pistole che fanno centro a duecento metri, per quanto si potrà dire che Eli, per essere un vagabondo con un libro nello zaino, combatte meglio di un ninja e che sarebbe carino se impugnasse quella maiala di H&K USP .45 con due mani che questo non è un film di Sergio Leone.
Ma vabbé, in fondo è lui l'eroe, e poi pare che Denzel Washington in preparazione per il film si sia addestrato con Dan Inosanto e Jeff Imada, famosissimi maestri° di Kali, l'arte marziale filippina considerata la più efficace nell'uso delle armi da taglio. Il che, stando allo "Standard Val Kilmer degli attori di Holllywood in film d'azione" lo mette al pari di uno del SAS come minimo.
Il Kulturame continuerà a preferire la zombie apocalypse, ma il mio post-apocalittico mi piace libraio, e la prossima volta che lo incontro gli controllo le mani per vedere se tremano, allo zozzone#.
NOTE
*: E le rivelazioni sul mio passato, ma sopratutto sul mio presente, ovverosia "ma come hai fatto a ridurti così?", continuano ad impilarsi gloriosamente.
°: Inosanto è stato anche allievo di Bruce Lee.
#: Questa la capirete quando avrete visto il film.
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