Quando si rende necessario, nel corso degli umani eventi, annunciare l'autopubblicazione di un romanzo d'azione scritto sotto pseudonimo da un tizio che scrive su questo blog sotto un altro pseudonimo...
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Max Balestra - Liberty Charter, Territori Liberi - Capitoli 1-3
domenica 16 dicembre 2012
venerdì 9 novembre 2012
Va' da' via il cool.
Un post di Wellington - L'Antieroe
Non sono sicuro di come dire questa cosa, ma ci provo.
In USA, per esempio, si festeggia perché i vecchi barbogi contrari ai matrimoni tra gay sono stati sconfitti alle elezioni.
Il matrimonio gay è cool, loro erano not cool, e hanno perso. Il diritto al matrimonio gay è (forse) assicurato dalla salda alleanza dei gay con i tipi cool.
Io avrei detto che sposarsi chi ti pare fosse un diritto umano fondamentale (dicansi anche "libertà"), non una questione di quanto si è fighi.
Cosa succederà quando i "tipi cool" saranno "not so cool anymore"? Festeggiate finché potete.
Adesso, i tipi not cool hanno paura che i tipi cool vengano a togliergli le armi da fuoco. E allora quelli più freschi tra di loro, la cosiddetta "gun generation 2.0", stanno dicendo: "dovete far capire ai ggiovani come me che le armi sono cool, e che anche voi lo siete, perché al momento non gli piacete perché avete sempre labbibbia in mano."
Ma il Secondo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti non recita: "Lo Stato, quando e se gli gira, concede di avere armi perché le armi sono cool. E, by the way, se hai labbibbia in mano non sei cool, e non puoi avere armi cool, e ben ti sta, avresti dovuto assicurarti di essere dalla parte giusta della società, quella cool, e portare voti con la tua coolaggine."
Il Secondo Emendamento recita: "il diritto del popolo di detenere e di portare armi, non verrà infranto."
Non è una concessione modaiola.
"Massì, fallo pure. E' cool."
E' un diritto.
Ma questo non importa. Perché se non sei cool non hai i voti, e senza i voti, quello che fai non è cool. Non sei nella parte cool della società, quella del futuro. Sei relegato nella parte not cool della masnada sociale, quella che sta passando, anzi, è già praticamente morta.
Ma questa non è mica repressione dei diritti individuali scopo guerricciole ideologiche reciproche, è alta sofisticazione politica scaturita dal più elevato dei processi democratici.
Poi si festeggia in due Stati dell'Unione perché il referendum dice che potemo spippà, però solo 'a Maria pecché tutto er resto è meglio che continua a far affluire pesos nelle casse dei cartelli messicani, whatever...
Adesso però, dita incrociate, bisogna vedere se il governo federale ce lo lascia fare davvero.
Maccome, abbiamo votato! E' cool!
Perché se non era cool, non sarebbe stato un diritto intossicarsi l'anima deli mortacci propri, con i propri soldi.
Abbiamo dovuto votare. E ora che abbiamo votato "Sì", è tutto cool.
E quello che ti serve, per essere cool, è il giusto alleato politico che ti permetta, in cambio di voti e donazioni, di pippare la Maria Giovanna (solo quella però), non perché sono cazzi tuoi, ma perché cercare di fermarti non sarebbe cool.
Almeno finché qualcuno non se ne uscirà dicendo che la ganja non è più cool perché incide sui costi della sanità pubblica, come le bibite gassate, i porno girati senza preservativo, e magari, presto, la carne.
E lì sono cazzi. Perché la sanità pubblica, de 'sti tempi, è cool da morire.
Per riassumere, quando un diritto non è più una questione di libertà dell'individuo, ma una concessione fatta dal braccio armato esecutivo dello Stato per premiare la tua alleanza elettorale con una parte politica, per poi divertirsi insieme a sopprimere i diritti, che dovrebbero essere egualmente sacrosanti, dell'altra parte politica, giocando sulla distinzione modaiola tra diritti "cool" e diritti "not cool", in una visione non di rispetto reciproco per le libertà altrui, ma di ingegneria sociale (favoriamo ciò che è cool, sopprimiamo ciò che è not cool. Not cool must go!), magari accampando il "bene comune", o "l'interesse della società", quel diritto è ridotto ad una farsa.
Quel diritto non esiste più. Esiste solo ciò che è cool, e ciò che è not cool. E il not cool potreste essere voi.
Perciò, invece di reclamare i vostri diritti come inalienabili in quanto vostri, dovuti, e non opzionali, continuate pure a reclamarli perché sono cool. Magari mentre vi divertite a cercare di compromettere a suon di voti e leggi quelli degli altri, che ritenete not cool.
Anzi, questa cosa qui, usatela proprio come arma politica da Mutua Distruzione Assicurata. E soprattutto per fare i vostri bravi esperimenti di ingegneria sociale. Tipo: "vogliamo realizzare la nostra società cool, e allora ci alleiamo con il padre-padrone Stato perché faccia leggi per permettere le cose cool nostre, e per proibire le cose not cool degli altri. Alla fine rimarrà solo la nostra società, nuova e cool. La vostra, vecchia e not cool, si estinguerà. Ma non preoccupatevi, abbiamo votato, è tutto democratico."
Ma la democrazia vi salverà solo finché siete dalla parte cool. Solo la libertà e la certezza del diritto, possono salvarvi per sempre.
mercoledì 29 agosto 2012
Movimento d'opinione a favore dell'individuo nuclearizzato.
"L'Iran non ha nessun diritto di possedere armi nucleari. Io ce l'ho!"
Wellington L'antieroe, estate del 2007, al quinto Cuba Libre.
Oggi Il Kulturame vuole occuparsi di un problema che affligge tutti noi (e per noi, intendo le voci dentro la mia testa): quell'odiosa forma di limitazione della libertà da parte dello Stato che impedisce all'individuo di possedere armi nucleari.
Si è saltuariamente occasionato al Kulturame che un interlocutore abbia sghignazzato alla sua asserzione che, se l'esercito e la polizia possono possedere armi da fuoco, anche il privato cittadino dovrebbe potersene dotare. In almeno una di tali occasioni l'interlocutore in questione ha fatto seguire lo sghignazzo con la seguente affermazione: "Pistole ai privati? E cos'altro? Bombe atomiche?"
L'asserzione sghignazzante del povero infelice, inutile sottolinearlo, è di per sé sterile. Come lo sono tutte le affermazioni a favore dell'impedimento legale del diritto del cittadino ad essere armato, che si basano sulla balzana idea che tale impedimento inibirà le sue capacità di usare armi a scopi illeciti, dimenticando l'elementare verità che le leggi fermano solo chi le rispetta, e che perciò chiunque voglia utilizzare armi da fuoco per scopi criminali, non avrà nessun problema ad infrangere una legge in più procurandosi un'arma sul mercato nero.
Ma ciò porta a chiedersi: applicando la stessa logica del fallace soggetto, questo non significa forse che anche la proibizione a possedere ordigni nucleari è essenzialmente errata?
Esaminiamo i fatti: è stata talvolta ventilata la possibilità che organizzazioni terroristiche come Al Quaida possano dotarsi di ordigni nucleari. E per "ventilata" intendiamo che quando lo dice uno che non sia Barak Obama è un discorso allarmistico da sporchi neocon guerrafondai, altrimenti è roba da meritare il premio nobel per la pace. Naturalmente, per iniziare, qui si applica lo stesso principio del gun control: i terroristi non hanno problemi a infrangere le leggi, pertanto la proibizione statale di vendere testate nucleari al Wal Mart è inutile.
In molti, come ad esempio quelli che sostenevano che gli USA facessero solo finta di voler trovare Osama Bin Laden perché in realtà lavorava per loro, respingono però la tesi che la possibilità di terroristi con l'atomica sia una minaccia reale. L'argomento vuole che gli ordigni nucleari siano così costosi, e complessi da utilizzare, che i poveri terroristi non ne siano in grado, e che perciò preferiscano dedicare le proprie scarse risorse a metodi bellici più convenzionali.
Se vera, tale conclusione rende la proibizione di vendita di ordigni nucleari ai privati cittadini doppiamente inutile. Non solo infatti dei terroristi, non essendo gente che rispetta le leggi, potrebbero procurarsene uno, ma perché pensare che, se la vendita fosse libera, chiunque correrebbe a comprarsi un ordigno nucleare se è così costoso e tecnicamente impossibile da usare che neanche i terroristi lo vogliono?
Un argomento di riserva portato da coloro che vogliono impedire all'individuo di possedere, come sarebbe suo diritto, ordigni nucleari, è che chiunque voglia una bomba atomica in casa è chiaramente irrazionale, e che pertanto sarebbe troppo pericoloso lasciarlo usufruire di tale diritto.
Il che porta a chiedersi: perché allora ci fidiamo a lasciare queste armi in mano alle potenze nucleari?
Seriamente, voi che leggete questo pezzo, pensate che il governo del Pakistan sia più sano di mente di voi?
Perché, io che minaccio di far scomparire il mio quartiere in una palla di fuoco all'idrogeno se gli zingari mi assaltano in casa, sarei meno razionale di una superpotenza che minaccia di far scomparire il pianeta se una potenza rivale gli viola i confini?
Verrebbe quasi da pensare che il principio secondo il quale lo Stato può possedere armi in quanto più razionale del singolo individuo sia solo una misura per assicurarsi che il sovrano abbia le sue armi e il suddito no. Diritto no, privilegio sì. E anche che il suddito sia talmente impecorato da non rendersene più conto, ed essere arrivato a pensare che, davvero, sia "solo per il suo bene".
In effetti, la teoria delle relazioni internazionali, almeno quella neorealista, sostiene che le armi nucleari facciano bene allo Stato, rendendolo maggiormente responsabile. Di recente tale argomento è stato comunemente utilizzato per difendere il programma nucleare iraniano. Un Iran dotato di armi nucleari, dice il saggio, sarebbe un Iran responsabile.
Ma se il potere civilizzatore degli ordigni nucleari è tale, e se non è vero che lo Stato vuole negare al privato cittadino il diritto a possedere armi esclusivamente per il suo bene (del suddito), e non per il suo (del sovrano), la prossima mossa logica, non sarebbe quella di fornire ad ogni singolo cittadino un ordigno nucleare?
Pensateci. Le atomiche rendono responsabili: problema dell'irrazionalità dell'individuo risolto.
E non è questo forse il ruolo dello Stato (almeno a suo dire)? I governi del mondo non sono forse impegnati in una ciclopica missione civilizzatrice per educare e responsabilizzare le comunità che presiedono?
Probabilmente si potrebbe fornire a ciascun cittadino la sua testata, un paio di kilotoni a testa, ad una frazione del costo di tutti i programmi di assistenza sociale e sanitaria, ed educativi, che al momento pesano sulla spesa pubblica.
Quello che Il Kulturame chiama un nanny state degno di tal nome.
giovedì 19 luglio 2012
Metempsicosi Kulturamiana.
Nel corso degli anni le conoscenze niùeig del Kulturame hanno tentato nei modi più creativi di convertirlo ad ogni possibile bizzarra credenza, dall'esistenza della terra cava all'orinoterapia, dall'apocalisse Maya al far ballare i tavolini, ma nessuno è stato più insistente nei suoi sforzi di vegetariani e vegani.
Per toglierseli dai coglioni, il Kulturame ha strategicamente deciso di assencondare un altro gruppo di gente che non ha abbastanza buonsenso per capire che volere uno come lui come adepto è follia pura, e cioè coloro che vogliono convincerlo dell'esistenza della metempsicosi.
Infatti,contrariamente a ciò che dicono gli Induisti, le due credenze sono incompatibili, quasi al punto di essere mutualmente esclusive, a meno di essere un cretino o un masochista.
Il motivo per cui reincarnazione e vegetarianesimo sono incompatibili è che, dovendosi reincarnare in un animale, è molto meglio reincarnarsi in uno destinato ad essere macellato al più presto.
Immaginate infatti di reincarnarvi in una vacca. Se capitaste in un mondo di vegetariani, oppure in India, passereste i prossimi vent'anni a ruminare libera in un prato. Volete davvero vivere vent'anni da vacca?
Per nostra fortuna viviamo in un mondo a maggioranza di carnivori, dove la maggior parte delle vacche finiscono nei macelli, e perciò camperete al massimo 9 anni, se siete una vacca da latte, non più di cinque se siete un manzo, e meno di uno se misericordiosamente l'allevatore decide di fare di voi filetto di vitello.
Ancora meglio reincarnarsi in un maiale. Al contrario di un maiale selvatico, che può campare affamato nella foresta, facendosi un mazzo così a scavare tuberi per 25 anni, in quanto maiale d'allevamento passerete cinque o sei anni al massimo a rotolarvi nella vostra stessa merda, grassi e pasciuti, nutriti a leccornie come granturco e avanzi di cucina. E se il vostro proprietario fa parte della mafia, o altro sindacato criminale, potrebbe perfino capitarvi di assaggiare carne di informatore della polizia. Dopo solo pochi anni di tale pacchia, vi beccherete una rapida martellata in testa e, mentre le vostre spoglie mortali vengono trasformate in prosciutto e finocchiona, la vostra anima trasmigrerà verso una nuova esistenza animale, magari un miliardario, o un divo del porno.
Il meglio che possa capitare è reincarnarsi in una zanzara. Non solo avrete la soddisfazione di dare fastidio a ogni creatura vivente e di nutrirvi di buonissimo sangue, ma vivrete al massimo 100 giorni, di meno se qualcuno riesce a spiaccicarvi contro un muro. Una morte rapida e indolore. Un battito di mani, un "Ti ho beccata bastarda!" proveniente dal nulla, ed è tutto finito.
Certo, possono capitare anche sfighe, come ad esempio reincarnarsi in un'oca da paté, o in un toro da corrida, anche se in quest'ultimo caso farete comunque una fine eroica e forse vi riuscirà di incornare il torero. Sfiga anche trasmigrare in uno di quei minuscoli cani da salotto col cappottino, nel qual caso consiglieremmo il suicidio mezzo saltar giù dalle braccia della vecchia rincoglionita che avete come padrona e mettervi ad attraversare di corsa la strada.
Se vi capita di reincarnarvi in un verme, al peggio farete una fine molto rapida appeso ad un amo, ma se siete in Sardegna vivrete nel casa martzu, e se vi capita il Messico morirete annegato nel mezscal. E diciamocelo, ci sono fini peggiori.
Da quando il Kulturame crede alla Metempsicosi, uno dei giorni più traumatici che ha vissuto è stato quando ha scoperto che nel Mare Antartico esistono meduse che vivono 600 milioni di anni. Immaginate reincarnarvi in una di quelle e passare intere ere geologiche a nuotare inutilmente nel mare glaciale, mangiando solo plancton o qualunque altro organismo schifido di cui si nutrono le meduse.
Per porvi rimedio, il Kulturame ha riscritto il testamento: dopo la morte tutti i suoi averi verranno devoluti ad un'organizzazione che si dedicherà allo sterminio delle meduse giganti dell'Antartico. E' il solo modo di stare tranquilli.
Direi che a questo punto, ciò che è nato come un metodo per sbarazzarsi dei proseliti vegetariani, ha tutte le carte in regola per diventare un culto. Anzi, un kulto, dato che il suo profeta è il Kulturame. Il nome che gli abbiamo (noi Kulturame) dato è "Metempsicosi Kulturamiana".
Occorre mettere in chiaro che la Metempsicosi Kulturamiana non prevede la crudeltà verso gli animali, semmai il contrario. Dato che l'animale potreste essere voi, è capitale che tutti gli animali vengano trattati bene. Trattare bene gli animali e farli vivere poco deve essere considerato l'obbiettivo ideale. La lunghezza della vita di un animale è inversamente proporzionale a come viene trattato (e da quanto è buono fatto alla griglia). Se avete un gatto che prevedete di tenere con voi finché morrà, trattatelo il meglio possibile. Se non avete intenzione di sbattervi per farlo vivere come un pascià, lanciatelo oltre il muro di un canile municipale. Se invece avete un porcile, o una batteria di polli, fateli fuori prima che potete.
Convertiti anche tu alle Metempsicosi Kulturamiana, dona metà dei tuoi averi al leader del kulto (gli estremi bancari te li comunico poi in privato), e vivi felice mangiandoti l'anima de li mortacci tua, certo di essere destinato dopo la morte ad una breve vita da bestia, e che prima o poi ti dovrà pure capitare di reincarnarti in un essere umano.
giovedì 9 febbraio 2012
Osama lo zombie.
Ha ragione l'amico dell'Antieroe in Fessbook: se Wellington ed io avessimo prodotto insieme un film sarebbe una roba del genere.
sabato 28 gennaio 2012
Kulturame Classici: Sic Transit Gloria Comunismi. (12/09/2009)
Lydia Guevara, la nipote "del" Che, prosegue lo sforzo rivoluzionario di famiglia promuovendo il vegetarianesimo per conto della PETA.
Dopo la rivoluzione delle rose, dei garofani, dei cedri, arriva quella delle carote.
Link.
Dopo la rivoluzione delle rose, dei garofani, dei cedri, arriva quella delle carote.
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lunedì 16 gennaio 2012
Perché io non sono Samuel Adams.
La risposta, curiosamente, non è "Perché sei Wellington - L'antieroe", ma si può trovare in un libro che sto leggendo.*
Da giovane a Boston Samuel Adams, oggi ricordato soprattutto per la birra^, coltivava un sogno: Che un giorno le Colonie britanniche in Nord America sarebbero state una nazione indipendente governata secondo i principi democratici descritti nelle opere di John Locke, del quale era un sincero e appassionato ammiratore.
Adams si mise a scrivere articoli e libelli nei quali dava voce alle sue idee ed opinioni, era un ottimo scrittore e i giornali pubblicavano volentieri i suoi scritti che ricevettero una certa attenzione, ma per quanto riguardava la rivoluzione indipendentista, per dirla in termini plebei, nessuno lo cagava di striscio. Non che quello che scrivesse non fosse giusto o sensato, era semplicemente che, per quanto i Coloni avessero delle lamentele nei confronti della madrepatria, le rimanevano molto affezionati. Politicamente parlando quindi, malgrado tutti i suoi sforzi, Adams non cavava un ragno dal buco. La causa alla quale si era dedicato anima e corpo, al punto da trascurare fino a mandare in fallimento la distilleria lasciatagli dal padre, sembrava aver imboccato un vicolo cieco, cosa che lo fece precipitare in una profonda depressione.
Da qualche parte laggiù Samuel Adams deve aver capito come vanno le cose nel mondo, perché uscito dalla depressione cambiò completamente i suoi metodi. L'occasione si presentò con lo Stamp Act, una legge inglese che in pratica istituiva l'uso delle marche da bollo su qualunque documento che ambisse ad essere considerato legale. In pratica una tassa sotto mentite spoglie che nelle Colonie fu accolta con l'usuale contenuto malumore. Ma non da Adams, il quale iniziò a scrivere articoli al vetriolo sullo Stamp Act, trattandolo come se fosse l'annunciarsi dell'apocalisse. Quando gli articoli attirarono l'attenzione che sperava, i suoi metodi si fecero ancora più militanti. Fondò un'associazione composta in larga parte da rissosi uomini delle classi lavoratrici chiamata Sons of Liberty che si dedicò a portare in piazza la protesta con toni il più rumorosi possibile e in seguito passò al vero e proprio squadrismo intimorendo e in almeno un caso devastando le proprietà dei negozianti che vendevano le marche da bollo.
Alla fine Adams vinse: lo Stamp Act fu revocato, ma presto sostituito da nuove tasse sotto copertura, che Adams contrastò con metodi sempre più aggressivi e sul filo della legge. Le attività dei Sons of Liberty resero nervosa la Gran Bretagna che reagì come spesso fanno i governi, con pretese di lesa maestà, e inviò soldati a Boston. Adams organizzò immediatamente un boicottaggio dei militari, facendoli sentire circondati da gente ostile e a tutti gli effetti in territorio nemico e poi solleticò il loro senso di insicurezza con vari atti provocatori che alla fine sfociarono, quando un plotone di giubbe rosse aprì il fuoco contro una folla che li insultava e gli tirava pietre e gusci d'ostrica, nel famoso Massacro di Boston.
La tensione iniziò a diffondersi oltre Boston, nel resto delle Colonie, e quando il Parlamento Inglese varò il Tea Act, una legge che imponeva un monopolio commerciale con per giunta ancora un'altra tassa nascosta al suo interno, i Sons of Liberty organizzarono il Boston Tea Party e il resto è storia.
La storia di Samuel Adams porta a due considerazioni interessanti, una di carattere storico e l'altra di carattere politico.
Storicamente vale la pena di notare che malgrado le voci che corrono di questi tempi le alte tasse non furono affatto la causa della Guerra di Indipendenza Americana. Secondo lo storico economico Niall Ferguson infatti il Colono medio pagava all'incirca 1 Scellino all'anno di tasse, laddove l'abitante medio della Gran Bretagna ne pagava 26.
Il Tea Act poi, legge monopolista con tasse annesse, ABBASSO' il prezzo del Tè a Boston, tagliando fuori gli intermediari, gli importatori delle Colonie come John Hancock, che non a caso furono i primi a seguire Adams nella ribellione.
Ciò che veramente contava nello slogan dei Sons of Liberty non era il "No Taxation", ma il "Without Representation". Il problema non era che ci fossero le tasse, o che fossero alte, era che queste tasse venivano imposte da un Parlamento lontano nel quale i Coloni non avevano nessuna rappresentanza.
In altre parole non si trattò di una ribellione "contro lo Stato", bensì per lo Stato, uno Stato americano. Una guerra politica, non contro la politica. Non a caso gli storici la chiamano appropriatamente Guerra di Indipendenza Americana, e non "Guerra Individualista" o "Guerra Anarchica".
Naturalmente poi la libertà individuale era un valore culturale forte per i coloni Americani a livello personale, e questo ha influenzato la forma di governo che si sono dati e ancora oggi scorre sotto la superficie del dibattito pubblico in USA molto più di quanto non faccia in altre parti del mondo. Questo spiega anche perché "the shot heard around the world" ispirò rivoluzioni e guerre di indipendenza dai risultati molto meno liberali, basti pensare alla Rivoluzione Francese o alle varie rivoluzioni delle banane dell'America Latina.
La considerazione di carattere politico invece è ben espressa nelle parole dell'autore del libro:
"Prima del 1765 Adams agiva nella convinzione che argomenti ben ragionati sarebbero stati sufficienti a convincere i coloni della giustezza della sua causa. Ma quando gli anni di fallimenti iniziarono ad impilarsi dovette confrontarsi con la realtà che i Coloni mantenevano nei confronti dell'Inghilterra un profondo attaccamento emotivo, come bambini nei confronti dei genitori.[...] Uno volta che Adams lo ebbe capito riformulò i suoi obbiettivi: Invece di predicare l'indipendenza e le idee di John Locke, avrebbe lavorato per recidere il legame dei Coloni con l'Inghilterra.[...] Lo Stamp Act e il Tea Act erano di fatto piuttosto insignificanti, ma Adams strategicamente li manipolò per creare indignazione, trasformandoli in barricate erette tra le due parti.[...] Capite questo: Le argomentazioni razionali entrano da un orecchio ed escono dall'altro.[...] Facendo appello alle emozioni della gente si può fare sì che essi vedano il passato in un'altra luce, come qualcosa di tirannico, noioso, brutto, immorale. Adesso c'è spazio per infiltrare nuove idee, cambiare il punto di vista della gente, farli reagire ad un nuovo senso del proprio interesse personale, e spargere i semi per una nuova causa, un nuovo legame."
In altre parole: In politica tu puoi avere tutte le buone teorie e ragioni di questo mondo, ma senza nichilismo e demagogia non combinerai una cippa.
E qui ci siamo signori: Questo è il motivo per il quale il sottoscritto non sarà mai un politico di successo, un capopopolo. Come si sa infatti L'Antieroe è affetto dal Morbo di Bunbury.
Da un punto di vista ideologico sono molto più estremista di Samuel Adams. Della rappresentanza non me ne può fregare di meno, e sono eticamente contrario allo Stato e alle tasse per il solo fatto che sono obbligatori. Ed è per questo che l'etica è l'unica cosa che mi rimane oggigiorno, la politica essendo deceduta causa Morbo di Bunbury. Etica e politica sono strettamente legate, ma non interdipendenti, e arriva sempre il momento in cui devi scegliere se compromettere l'una o l'altra. Nel corso delle nostre vite perlopiù riusciamo a mantenere un compromesso equilibrato tra le due, e così è stato per me per molti anni, ma da qualche tempo a questa parte mi riesce davvero difficile conciliare la mia etica con la politica, ed è per questo che in politica sono sempre più un osservatore e sempre meno una parte attiva.
Non mi interessa inventare narrative nichiliste per portare gente dalla mia parte a suon di calci in culo emotivi, i metodi di Samuel Adams potranno anche creare un governo più liberale (o anche no), ma non creano un uomo più libero. Il più delle volte quello che creano è un True Believer hofferiano, uno schiavo mentale.
Ma questo esempio storico spiega anche la ragione per la quale politici fortemente carismatici° con spericolate visioni hanno un tale seguito di fedelissimi che difendendo le loro narrative con le unghie e con i denti fin nei più piccoli particolari. Queste narrative contengono sicuramente anche delle verità e delle idee valide (ma come dico sempre io avere dei buoni argomenti è la cosa più facile in terra), ma è sull'emotività che fanno veramente affidamento. Sulla costruzione retorica dell'immagine di un mondo ormai insopportabile, è il potere dell'odio verso l'esistente che gli fornisce davvero il carburante.
E ora che vi ho detto che il paladino della vostra causa vi sta propinando una narrativa nichilista piena di luoghi comuni e falsi bersagli, per concludere con una nota di simpatia destinata a farmi apprezzare ancora di più, dallo stesso libro citerò Gesù Cristo, allo scopo di far notare che alle volte parlava davvero come uno di quei capi-setta i cui seguaci vanno a bere Kool-Aid in Amazzonia.
Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra;
Non sono venuto a portare pace, ma una spada.
Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre,
la figlia dalla madre,la nuora dalla suocera:
e i nemici dell'uomo saranno quelli della sua casa.
Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me;
chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me;
chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me.
Matteo 10:34-38
Wellington - L'Antieroe
sabato 14 gennaio 2012
Kulturame Classici: Considerato che...
E' ormai consuetudine impicciarsi delle elezioni di paesi in cui non si vive e di cui non si sa niente.
Tale consuetudine esige di supportare il "nostro" candidato.
Che è buona regola di convivenza civile adeguarsi al vento politico che tira e che pertanto anche Il Kulturame deve riconoscere come destino l'avanzare delle gloriose forze anti-imperialiste del 21° Secolo postamerikano.
Il Kulturame ha scelto il "suo" candidato alle elezioni sudafricane del 2009 (in cui non voterà).
Eccovi i nostri banner e slogan.
Tale consuetudine esige di supportare il "nostro" candidato.
Che è buona regola di convivenza civile adeguarsi al vento politico che tira e che pertanto anche Il Kulturame deve riconoscere come destino l'avanzare delle gloriose forze anti-imperialiste del 21° Secolo postamerikano.
Il Kulturame ha scelto il "suo" candidato alle elezioni sudafricane del 2009 (in cui non voterà).
Eccovi i nostri banner e slogan.
venerdì 13 gennaio 2012
Kulturame Classici: The West
Qui in Kulturamia il discorso di Mahmoud Ahmadinejadall'Assemblea Generale dell'ONU ci suonava familiare. Ci siamo chiesti dove mai avesse pescato certe idee. Seguono esempi casuali e incompleti.
***
L'occidente diffonde il totalitarismo: Noam Chomsky.L'occidente perpetua la schiavitù e il colonialismo: attivisti No Global.
L'occidente è arrogante: scienzati politici di un po' tutte le scuole di pensiero e tizio che spiega perché l'11 Settembre hanno colpito proprio le Torri gemelle, simbolo di Wall Street.
L'occidente è stato costruito con il sudore degli schiavi negri: Malcom X.
L'occidente bombarda gli altri paesi per impadronirsi delle loro risorse: adolescente occidentale medio e rock star o stella del cinema occidentale media.
Il regime sionista uccide la gente in massa: ONU.
Il regime sionista lascia i poveri Palestinesi senza una casa: attivisti occidentali pro-palestinesi.
Il regime sionista è terrorista: attivisti occidentali pro-palestinesi.
Il regime sionista causa guerre: ambasciatore francese a Londra nel 2001.
I sionisti ricattano il mondo col ricordo dell'Olocausto: occidentali di ogni idea politica (il più delle volte a bassa voce, in privato e tra di loro).
L'Olocausto è roba di tanto tempo fa, non parliamone più: il ministro della giustizia belga lo scorso Maggio.
La verità dell'Olocausto è da rimettere in discussione: neonazisti e fratellanza ariana varia (occidentali).
Bin laden non doveva essere ucciso: Ron Paul.
L'uccisione di Bin Laden serve a coprire il complotto dietro l'11 Settembre: 112,886,468,278,550 di siti web cospirazionisti basati in Occidente.
Eh sì, perché c'è un complotto dietro l'11 Settembre: tra il 40% e il 45% degli occidentali a seconda dei sondaggi.
Gli Americani hanno bombardato Hiroshima tanto per: pacifisti occidentali.
Gli Americani si considerano superiori: un Europeo che soffre di complessi d'inferiorità preso a caso.
Gli Americani sono Imperialisti: tutti gli Europei e una buona parte degli Americani.
Le basi degli Americani all'estero sono occupazione militare: tutti quelli che in Europa hanno scritto "Yankees Go Home" sui muri dal 1945 ad oggi.
I media sono controllati segretamente da qualcuno: un occidentale preso a caso non appena sente in tivì una notizia che stona con le sue convinzioni politiche.
***
Dice il Kulturame: l'occidente ha incontrato il nemico, e il nemico è l'occidente.
Kulturame Classici: Le parole che non ti ho detto #2
Puntata #2: Barak Obama.
Miei cari elettori, lo so che per la maggior parte di voi gli attacchi dell'11 Settembre 2001 sono un complotto della CIA e degli ebrei oppure in ogni caso l'America se li è meritati in quanto nazione arrogante, proprio come dicono gli Ayatollah, ma volevo comunicarvi che l'uomo che ha progettato quegli attacchi, che ormai aveva un piede nella fossa di suo, è stato oggi assassinato e il suo corpo scaraventato in mare come un sacco di merda (cosa che però, che sia chiaro, non "umilia" il mondo islamico come l'esame dentistico di Saddam Hussein), cosa sulla quale voi non avrete un cazzo da dire perché io non sono George W. Bush e perciò sono escluso d'ufficio dalla lista dei cattivi.
L'uccisione di Bin Laden si è resa possibile perché invece di stare a sentire le opinioni dei radicali che sostenevano Bin Laden fosse un agente CIA nascosto in Florida sono stato a sentire le opinioni della CIA ottenute attraverso il waterbording e gli interrogatori di Guantanamo (che avevo promesso di chiudere ma non ho chiuso perché io non sono George W. Bush e quindi posso fare quello che mi pare) e alla fine l'abbiamo (miracolosamente) trovato a casa di un alleato al quale versiamo milioni di dollari ogni anno in aiuti.
Perciò ora posso ritirare le nostre truppe dall'Afghanistan senza timore di non essere rieletto non per la miriade di buoni motivi che ci sarebbero ma perché, essendo tutti voi degli idioti, avevate bisogno di una mera vittoria simbolica ottenuta su un vecchio malato onorariamente a capo di un'organizzazione che è il fantasma di quello che era dieci anni fa. E adesso posso dire in faccia a quei redneck rompicoglioni che la guerra al terrorismo è finita.
Danziamo tutti quanti beatamente nel magico mondo della fantasia nel quale se le guerre sono "giuste" o "sbagliate" lo decide la partigianeria politica e la strategia viene decisa non sulla base della nuda realtà ma dallo schema immaginario formatosi nella mente dell'opinione pubblica imbeccata da elite ideologiche.
E rendiamo grazie al Signore, cosa che per la maggior parte di voi è un rito medioevale da ritardati di mente, per il culo che abbiamo avuto, le nostre forze armate e il fatto che sono nero e non mi chiamo George W. Bush.
La Madre Terra Gaia atea e socialista benedica l'America.
Barack Obama - Maggio-2-2011.
La Madre Terra Gaia atea e socialista benedica l'America.
Barack Obama - Maggio-2-2011.
PS: Nota del Kulturame a seguire.
Kulturame Classici: Fratello Eli, il Tuo Libro è il Mio Libro.
Un recensione di Wellington.
Sicuramente Hollywood deve essere venuta a sapere che negli ultimi anni i nostri rapporti erano alquanto degenerati (tanto che stavo addirittura ripiegando sui film di Bollywood) e ora sta cercando di fare la pace con me. Solo così posso spiegarmi come mi possano essere piaciuti due film provenienti dalle colline di L.A. in due giorni.
Battle: Los Angeles in teoria avrebbe dovuto essere esattamente tutto quello che mi ha creato problemi con Hollywood recentemente: scene d'azione sborone con effetti speciali e colori ultravivaci su trame profonde quanto una pozzanghera, e invece le scene d'azione sono più che decenti, l'ambientazione "grunt" (i protagonisti sono un plotone di Marines) è gustosa, la trama, per quanto molto poco originale, regge. E come chicca appare il Sergente Maggiore Dever.
Ma in realtà sono qui per parlarvi del secondo film che per me si è rivelato una gradita sorpresa, perché a differenza di quanto mi aspettavo riesce ad avere una trama epica senza discendere in squallidi sermoni e pseudo-metafore sul "mondo in cui viviamo", si tratta di The Book of Eli (Codice Genesi in Italiano).
In un mondo post-apocalittico sconvolto, pare di capire, da una guerra nucleare e in preda alle solita accoppiata barbarie/anarchia si aggira solitario, procedendo capoticamente "verso ovest", un uomo di nome Eli. E' un uomo con una missione, o meglio, con un carico prezioso: un libro. Pare infatti che il dopoguerra abbia generato roghi di libri considerati colpevoli di diffondere idee che hanno portato alla catastrofe, e Eli è deciso a preservare almeno questo libro dalla distruzione. Lungo il cammino il nostro capita in una cittaducola dominata da un cattivissimo boss locale con serie manie di grandezza, ma non per questo stupido o ignorante della natura umana, che proprio quel libro sta cercando disperatamente da anni.
E mi fermo qui.
Ora, adesso magari quelli che hanno visto il film mi rimprovereranno che questa è una versione piuttosto edulcorata della trama, ma il fatto è, ragazzi, che al mondo ci sono anche quelli che il film non l'hanno visto e davvero non voglio postare spoiler, soprattutto perchè la sceneggiatura fa un uso così abile del colpo di scena.
L'ambientazione postnucleare è particolarmente ben studiata, non ci sono "omaggi" inutili, da nerd, ad altri film e soprattutto è originale. In questo particolare metauniverso post-apocalittico il problema principale sembrano essere i raggi ultravioletti che rendono la terra arida, bruciano la pelle esposta e a lungo andare friggono le retine (impossibile aggirarsi all'aperto senza occhiali da sole, il che rende questo film popolato dai sopravvissuti più cool della storia del cinema).
Questa è di fatto una teoria della guerra fredda secondo la quale l'esplosione aerea di centinaia di bombe all'idrogeno provocherebbe uno squarcio nello strato di ozono che protegge il pianeta. Non so quanto sia tecnicamente corretta, ma è comunque più originale del solito "inverno nucleare", e sicuramente più probabile dei triti "mutanti" tanto cari alla fantascienza/horror. E questo "in my book" (e in quello di Eli), mostra che gli sceneggiatori si sono sprecati a fare i compiti a casa invece di rifriggere roba già vista, come sarebbe stato molto comodo fare perché tanto non sarebbe importato a un pubblico ormai assuefatto e rassegnato alla pigrizia hollywoodiana.
L'ambientazione post-nucleare in generale mi ricorda davvero molto i romanzi pulp della serie "Deathlands" con i quali mi baloccavo da adolescente*, un misto di catastrofismo e western. Solo che qui non ci sono rettili mutanti e simili sciocchezze, perciò si tratta di un più che notevole upgrade. Nel postapocalittico, per dirla con Eli, "si uccide per quello che una volta buttavamo via", tanto che le salviette togliti-un-po'-quell'unto-dalle-dita usa e getta del Kentucky Fried Chicken sono considerate merce preziosa in un mercato in cui l'acqua è diventata la risorsa più scarsa in assoluto.
Ben assemblato il cast, a partire dal sempre valido Denzel Washington (nel ruolo del nostro eroe), un Gary Oldman d'annata (proprio nel senso che è invecchiato in maniera sconvolgente, sembra una versione imbruttita dell'Ammiraglio Adama di Battlestar Galactica, mentre il suo personaggio è una versione incattivita della Presidentessa), Ray Stevenson (il Legionario Tito Pullo di 'Roma' che però questa volta non ha scene di nudo frontale, quindi non c'è da temere crisi da confronto), la giovane, gradevole (alla vista e per la recitazione) Mila Kunis, una Jennifer Beals che appare poco ma che riesce comunque a lasciare il segno, il cantante jazz/blues cult Tom Waits (Jockey Full of Bourbon) e, come cameo, Malcom McDowell.
Le scene d'azione sono "probabili", senza granate che tirano giù un viadotto o pistole che fanno centro a duecento metri, per quanto si potrà dire che Eli, per essere un vagabondo con un libro nello zaino, combatte meglio di un ninja e che sarebbe carino se impugnasse quella maiala di H&K USP .45 con due mani che questo non è un film di Sergio Leone.
Ma vabbé, in fondo è lui l'eroe, e poi pare che Denzel Washington in preparazione per il film si sia addestrato con Dan Inosanto e Jeff Imada, famosissimi maestri° di Kali, l'arte marziale filippina considerata la più efficace nell'uso delle armi da taglio. Il che, stando allo "Standard Val Kilmer degli attori di Holllywood in film d'azione" lo mette al pari di uno del SAS come minimo.
Il Kulturame continuerà a preferire la zombie apocalypse, ma il mio post-apocalittico mi piace libraio, e la prossima volta che lo incontro gli controllo le mani per vedere se tremano, allo zozzone#.
Battle: Los Angeles in teoria avrebbe dovuto essere esattamente tutto quello che mi ha creato problemi con Hollywood recentemente: scene d'azione sborone con effetti speciali e colori ultravivaci su trame profonde quanto una pozzanghera, e invece le scene d'azione sono più che decenti, l'ambientazione "grunt" (i protagonisti sono un plotone di Marines) è gustosa, la trama, per quanto molto poco originale, regge. E come chicca appare il Sergente Maggiore Dever.
Ma in realtà sono qui per parlarvi del secondo film che per me si è rivelato una gradita sorpresa, perché a differenza di quanto mi aspettavo riesce ad avere una trama epica senza discendere in squallidi sermoni e pseudo-metafore sul "mondo in cui viviamo", si tratta di The Book of Eli (Codice Genesi in Italiano).
In un mondo post-apocalittico sconvolto, pare di capire, da una guerra nucleare e in preda alle solita accoppiata barbarie/anarchia si aggira solitario, procedendo capoticamente "verso ovest", un uomo di nome Eli. E' un uomo con una missione, o meglio, con un carico prezioso: un libro. Pare infatti che il dopoguerra abbia generato roghi di libri considerati colpevoli di diffondere idee che hanno portato alla catastrofe, e Eli è deciso a preservare almeno questo libro dalla distruzione. Lungo il cammino il nostro capita in una cittaducola dominata da un cattivissimo boss locale con serie manie di grandezza, ma non per questo stupido o ignorante della natura umana, che proprio quel libro sta cercando disperatamente da anni.
E mi fermo qui.
Ora, adesso magari quelli che hanno visto il film mi rimprovereranno che questa è una versione piuttosto edulcorata della trama, ma il fatto è, ragazzi, che al mondo ci sono anche quelli che il film non l'hanno visto e davvero non voglio postare spoiler, soprattutto perchè la sceneggiatura fa un uso così abile del colpo di scena.
L'ambientazione postnucleare è particolarmente ben studiata, non ci sono "omaggi" inutili, da nerd, ad altri film e soprattutto è originale. In questo particolare metauniverso post-apocalittico il problema principale sembrano essere i raggi ultravioletti che rendono la terra arida, bruciano la pelle esposta e a lungo andare friggono le retine (impossibile aggirarsi all'aperto senza occhiali da sole, il che rende questo film popolato dai sopravvissuti più cool della storia del cinema).
Questa è di fatto una teoria della guerra fredda secondo la quale l'esplosione aerea di centinaia di bombe all'idrogeno provocherebbe uno squarcio nello strato di ozono che protegge il pianeta. Non so quanto sia tecnicamente corretta, ma è comunque più originale del solito "inverno nucleare", e sicuramente più probabile dei triti "mutanti" tanto cari alla fantascienza/horror. E questo "in my book" (e in quello di Eli), mostra che gli sceneggiatori si sono sprecati a fare i compiti a casa invece di rifriggere roba già vista, come sarebbe stato molto comodo fare perché tanto non sarebbe importato a un pubblico ormai assuefatto e rassegnato alla pigrizia hollywoodiana.
L'ambientazione post-nucleare in generale mi ricorda davvero molto i romanzi pulp della serie "Deathlands" con i quali mi baloccavo da adolescente*, un misto di catastrofismo e western. Solo che qui non ci sono rettili mutanti e simili sciocchezze, perciò si tratta di un più che notevole upgrade. Nel postapocalittico, per dirla con Eli, "si uccide per quello che una volta buttavamo via", tanto che le salviette togliti-un-po'-quell'unto-dalle-dita usa e getta del Kentucky Fried Chicken sono considerate merce preziosa in un mercato in cui l'acqua è diventata la risorsa più scarsa in assoluto.
Ben assemblato il cast, a partire dal sempre valido Denzel Washington (nel ruolo del nostro eroe), un Gary Oldman d'annata (proprio nel senso che è invecchiato in maniera sconvolgente, sembra una versione imbruttita dell'Ammiraglio Adama di Battlestar Galactica, mentre il suo personaggio è una versione incattivita della Presidentessa), Ray Stevenson (il Legionario Tito Pullo di 'Roma' che però questa volta non ha scene di nudo frontale, quindi non c'è da temere crisi da confronto), la giovane, gradevole (alla vista e per la recitazione) Mila Kunis, una Jennifer Beals che appare poco ma che riesce comunque a lasciare il segno, il cantante jazz/blues cult Tom Waits (Jockey Full of Bourbon) e, come cameo, Malcom McDowell.
Le scene d'azione sono "probabili", senza granate che tirano giù un viadotto o pistole che fanno centro a duecento metri, per quanto si potrà dire che Eli, per essere un vagabondo con un libro nello zaino, combatte meglio di un ninja e che sarebbe carino se impugnasse quella maiala di H&K USP .45 con due mani che questo non è un film di Sergio Leone.
Ma vabbé, in fondo è lui l'eroe, e poi pare che Denzel Washington in preparazione per il film si sia addestrato con Dan Inosanto e Jeff Imada, famosissimi maestri° di Kali, l'arte marziale filippina considerata la più efficace nell'uso delle armi da taglio. Il che, stando allo "Standard Val Kilmer degli attori di Holllywood in film d'azione" lo mette al pari di uno del SAS come minimo.
Il Kulturame continuerà a preferire la zombie apocalypse, ma il mio post-apocalittico mi piace libraio, e la prossima volta che lo incontro gli controllo le mani per vedere se tremano, allo zozzone#.
NOTE
*: E le rivelazioni sul mio passato, ma sopratutto sul mio presente, ovverosia "ma come hai fatto a ridurti così?", continuano ad impilarsi gloriosamente.
°: Inosanto è stato anche allievo di Bruce Lee.
#: Questa la capirete quando avrete visto il film.
Kulturame Classici: Paesaggio con Incendio.
Una recensione di Wellington.
Paesaggio con Incendio -- di Ernesto Aloia (Minimum Fax)
Chiunque sia figlio di genitori di provincia e da bambino abbia passato i week-end (magari anche prima che si chiamassero così), le estati e le feste comandate a trovare i nonni al paese non potrà che ritrovarsi nel Paesaggio con Incendio di Ernesto Aloia, un romanzo breve con un che del thriller che si legge davvero tutto di un fiato, non tanto per la scarsità di pagine quanto per la prosa gradevole, tipica dell'autore, e per la struttura scorrevole.
Chiunque sia figlio di genitori di provincia e da bambino abbia passato i week-end (magari anche prima che si chiamassero così), le estati e le feste comandate a trovare i nonni al paese non potrà che ritrovarsi nel Paesaggio con Incendio di Ernesto Aloia, un romanzo breve con un che del thriller che si legge davvero tutto di un fiato, non tanto per la scarsità di pagine quanto per la prosa gradevole, tipica dell'autore, e per la struttura scorrevole.
Paesaggio con Incendio è la storia di Vittorio, un professionista urbanizzato, uno storico di professione, che insiste nel voler trascinare ogni estate moglie e figlia a passare le ferie nel natio paesino di Castagneto sugli Appennini settentrionali dove in tutta libertà si può aggrappare disperatamente a ciò che non cambia mai (la casa dei suoi nonni che guarda sulla piazza principale, i soliti vecchi amici seduti al solito vecchio bar), rammaricandosi per quello che inesorabilmente cambia (la piazza pavimentata a nuovo, il fiume – ormai snobbato a favore della piscina dai locali – dove ora nuotano solo gli extracomunitari).
L'atmosfera "de paese" è riprodotta in maniera davvero molto gustosa sia nelle sue manifestazioni più classiche, come lo spettacolo degli abitanti che passeggiando lungo il viale dove ci sono le ville più belle del paese, in una versione ultra-provinciale dell'invidia sociale cittadina, provano un piacere perfido nell'associare a ciascuna villa le disgrazie e le mancanze del ricco proprietario, sia in quelle più postmoderne, come lo spettacolo del baretto frequentato da calciatori di squadre in ritiro nella zona posto sotto assedio dalle giovani bellezze locali alla ricerca di un principe azzurro in grado di portarle via dall'Appennino.
Co-protagonisti del romanzo sono davvero gli abitanti di Castagneto, nelle cui rivalità interne fatte di rancori tirati avanti per decenni Vittorio si ritroverà suo malgrado coinvolto. Gente che si fa segnare profondamente la vita da quelle che tutto sommato, sono disavventure perfettamente sopravvivibili: una madre scappata quando si era ancora piccoli, un fidanzamento rotto, la recente morte di un congiunto, una giovinezza passata a inseguire improbabili avventure. Semplici fatti della vita la cui magnitudine è enormemente amplificata dalla chiusura geografica del piccolo centro che si trasforma in una chiusura dell'anima che i paesani si portano dietro anche dopo essersi trasferiti a Bologna o a Torino, e che è lì ad aspettarli ogni estate e festa comandata a Castagneto.
Particolarmente (e prevedibilmente) apprezzato dal sottoscritto il parallelo tra pettegolezzi di paese che rimettono insieme storie passate in favore della teoria di preferenza facendo scempio dei fatti oggettivi e revisionismo storico (che si vorrebbe urbano e sofisticato) e, ancora di più, teorie della cospirazione. Quelle anche oltre l'urbano, ma già addirittura nel telematico, che rappresentano al giorno d'oggi la diceria con annessa voglia di linciaggio del villaggio globale.
Il romanzo è edito da Minimum Fax, ma è disponibile su Amazon.it se volete risparmiarvi troppi giri per le librerie.
Piccolo inciso personale: il romanzo mi ha ricordato non poche storie "paesane" mie, come ad esempio il fucile M16 che una volta il barista sotto casa di mio nonno mostrò a me e mio fratello bambini nel retrobottega dopo averci visti uscire dal supermercato trionfanti con due M16 giocattolo appena acquistati ed essersi vantato, tra il nostro scetticismo, di averne uno vero. Un'arma che col senno di poi doveva essere uno di quei .22 da tirassegno costruiti per avere l'aspetto esteriore di un M16. Per anni a seguire i miei amici ed io fantasticammo che, se "i Russi" avessero invaso, ci saremmo recati in quel bar per impadronirci dell'M16. Arma che, essendo Americana e vista in mano agli attori del telefilm "SWAT" che guardavamo sulle TV locali, doveva essere enormemente superiore a qualunque altra avremmo mai potuto trovare in giro. Strano mondo la provincia per delle menti gggiovani.
Wellington
Wellington
Kulturame Classici: La Realtà Supera la Kulturamia.
Il Kulturame voleva scrivere un pezzo satirico: come idea doveva essere un discorso cretino di un piccolo rivoluzionario del XXI° secolo cretino pieno di cretinate espresse con un linguaggio cretino reminiscente di un'epoca passata popolata da cretini.
Il Kulturame desiderava, per una volta, usare la sottile ironia piuttosto che il rozzo sarcasmo.
Voleva che sembrasse vero, plausibile, e perciò si è messo a fare coscienziosamente le sue ricerche imbattendosi in questo.
E' perfetto.
Nessun bisogno di scriverlo noi, più cretino di così non poteva venire.
Solo che quello che l'ha scritto parla sul serio.
E' dura essere sottilmente ironici in un mondo come questo.
Una guerra dichiarata e non resa ufficiale contro il bolivarismo
Mentre il bolivarianismo, risemantizzato anche come socialismo del secolo XXI, esprime la speranza di redenzione del popolo venezuelano e, per estensione, di tutti i nostri popoli americani e degli oppressi del mondo, il capitalismo, sia nella sua versione tradizionale o convenzionale che in quella patibolare versione neoliberale, rappresenta lo smisurato affanno per l’accumulazione di ricchezze a costo dell’oppressione e del crescente sfruttamento della stragrande maggioranza della popolazione.
Non bisogna nemmeno serbare dei dubbi. L’elite americana e i suoi lacchè creoli ci hanno dichiarato la guerra per il semplice fatto che il progetto bolivariano, capeggiato dal presidente Hugo Chávez Frías, simboleggia una visione del mondo, della vita e della società assolutamente contrapposta con quello che vuole significare e pretendere il sistema capitalista di cui la cupola americana rappresenta la massima espressione.
Mentre il bolivarianismo, risemantizzato anche come socialismo del secolo XXI, esprime la speranza di redenzione del popolo venezuelano e, per estensione, di tutti i nostri popoli americani e degli oppressi del mondo, il capitalismo, sia nella sua versione tradizionale o convenzionale che in quella patibolare versione neoliberale, rappresenta lo smisurato affanno per l’accumulazione di ricchezze a costo dell’oppressione e del crescente sfruttamento della stragrande maggioranza della popolazione e, quel che è peggio,a scapito della vita stessa sul pianeta terra o PACHAMAMA come è denominata dai nostri fratelli boliviani.
Questa scelta di voler recidere il processo rivoluzionario è stata presa dal vertice imperiale appena si ebbe la conferma del trionfo del comandante Chávez nelle elezioni del 1998.
Chi se non i più cospicui rappresentanti imperiali per individuare, sin dalle sue origini, l’orientamento e il compromesso militante e sovversivo che implicavano l’ascesa di Chávez alla carica presidenziale di un paese strategicamente così importante come il Venezuela per via della sua posizione geopolitica e per le sue grandi risorse energetiche.
Strategia controrivoluzionaria
L’elite imperiale concepì una strategia controrivoluzionaria che mirava principalmente al troncamento del progetto bolivariano e implicava lo spiegamento di molteplici fronti d’azione nel campo politico, diplomatico, economico, militare, mediatico, ecc., destinate, in un primo momento, alla destabilizzazione, indebolimento, e deterioro del progetto chavista e successivamente, in un secondo momento, nell’accrescimento delle azioni per procedere con il suo rovesciamento, usando come leva detonante l’intervento militare.
Esiste un ampio spettro di certezze che consentono di illustrare questo approccio: dall’offerta di ottocento (800) marines da stanziare nel porto di La Guaira, adducendo come pretesto la solidarietà di fronte alla tragedia della frana accaduta nella regione Vargas nel mese di dicembre del 1999, passando per l’aggressione sistemica della canaglia mediatica tanto a livello locale quanto su quello internazionale; il proposito di isolarci, in quanto paese, negli ambienti diplomatici; la pressione economica esercitata tanto da parte delle organizzazioni internazionali quanto dalle azioni sviluppate da parte delle organizzazioni imprenditoriali all’interno del paese; le pratiche evidentemente invalidanti delle organizzazioni politiche e della cosiddetta società civile, gerarchia ecclesiastica compresa, invitando a ignorare la Costituzione, le leggi abilitanti e il governo legittimamente costituito; il colpo di stato del mese d’aprile 2002; il sollevamento mediatico-militare della Piazza Altamira; lo sciopero petrolifero – imprenditoriale del 2002-2003; il rifiuto del dialogo nazionale proposto dal governo nazionale; le guarimbas; l’invito a non pagare gli obblighi fiscali; le incessanti e inclementi campagne mediatiche che falsano la realtà, diffuse dalle aziende private della comunicazione; la diretta ingerenza dell’ambasciata americana nella vita politica del paese; il rifiuto da parte dei governi americani di rispettare i contratti militari sottoscritti con il nostro paese con il manifesto intento di impedire il funzionamento degli aerei militari; l’allestimento di piani Omicidi nei confronti della persona del presidente; l’importazione del paramilitarismo e dei sicari colombiani come elemento detonante del caos; l’insicurezza e lo stimolo all’ingovernabilità; le vili campagne destinate a identificare il governo bolivariano con il narcotraffico e con elementi del terrorismo internazionale, ecc., e come queste, tantissime altre evidenze che costituiscono un ammasso di elementi per il sostentamento della strategia controrivoluzionaria contro il nostro paese.
Errore iniziale: sottostimarono Chávez e il popolo bolivariano
L’imperialismo e i loro lacchè commisero un grave errore, grave per quanto concerne la riuscita dei loro piani, cioè, sottostimare Chávez e ignorare olimpicamente la presa di coscienza politico-ideologica del valoroso popolo venezuelano. Nonostante la tecnologia in loro possesso, rozza esperienza destabilizzante –messa in pratica in molti paesi del nostro continente e del mondo- e le ingenti risorse di cui disponevano non riuscirono a calibrare la qualità e la profondità del salto storico rivoluzionario che si stava sviluppando ed è in piena espansione nella patria di Simón Bolívar, i cui ideali redentori, libertari, integrazionisti ed etici servono di guida promissoria.
Questa sola sequenza di fatti, piani e avvenimenti evidenzia l’ingerenza americana nel nostro paese; nulla di tutto ciò o quasi nessuna di queste indegne e sfacciate iniziative si sarebbe potuta realizzare senza l’appoggio, l’avvedutezza e la diretta e decisiva partecipazione delle diverse agenzie internazionali affiliate al governo americano. Uno Stato che agisce in questo modo è perché ha dichiarato la guerra allo Stato oggetto di tali ingerenze; l’interpretazione più basilare del diritto internazionale così lo determina. Questa è una guerra dichiarata, sistematica, informale, anche se non resa ufficiale.
Guerra dichiarata non resa ufficiale che si fa sempre più evidente nella misura in cui si consolida il progetto bolivariano, si approfondisce il suo orientamento socialista e la sua tendenza integrazionista, assestando, di conseguenza, maggiori sconfitte politiche e ideologiche alle forze retrive controrivoluzionarie in quegli spazi nei quali si mette in scena il confronto.
Disperazione dell’impero
La disperazione dell’impero si fa sempre più manifesta, diventando meno sottile il suo azionare, dove la variabile militare assume un ruolo sempre più preponderante nel disegno strategico che è in atto.
Sotto questo aspetto è opportuno rilevare i seguenti fatti:
• La riattivazione della IV Flotta (ottobre 2008) destinata a operare nell’Atantico Sud, la quale non agiva più da 52 anni.
• L’insediamento di 7 nuove basi militari nel territorio colombiano, le quali, se sommate a quelle già esistenti in quel paese con quelle installate ad Aruba e Curaçao, Panama e Perù e un’altra la cui costruzione è prevista, probabilmente, nella Guyana francese, implica, né più né meno, l’erigere un assedio strategico intorno al Venezuela.
• Lo sbarco di 20.000 marines a Haiti (da gennaio 2010) con il pretesto di prestare assistenza, militare? In occasione dell’emergenza dichiarata in seguito al terremoto avvenuto in quel tormentato paese fratello.
• L’inusitato interesse manifestato verso la regione sudamericana da parte degli alti funzionari politici e militari americani.
• il colpo di stato in Honduras (luglio 2009) ordito per arrestare, in qualche maniera, l’avanzata del sentimento bolivariano in Centroamerica e per indebolire l’Alleanza Bolivariana delle Americhe (ALBA).
• Il clima bellicista che hanno promosso in Colombia a sostegno della politica antivenezuelana, militarista e d’ingerenza appoggiato dall’oligarchia narcoparamilitare che è alla guida del paese vicino.
• A tutto questo bisogna aggiungere l’imperversare della campagna che si è scatenata mediante tutto l’apparato mediatico internazionale, la quale è incline presentare il governo bolivariano come vincolato al narcotraffico e al terrorismo internazionale (o a ciò che loro qualificano come tale) con il proposito di creare un espediente nei confronti dello Stato venezuelano che consenta di classificarlo come Stato canaglia e sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale verso qualsiasi misura sanzionatoria, così come in precedenza fecero con l’Iraq, accusandolo di possedere armi chimiche di distruzione di massa e che fino a oggi non sono state rinvenute, dopo sette anni d’invasione.
Strategia bolivariana
Questo insieme di fattori che abbiamo fin qui riferito, pone in evidenza la strategia imperiale orchestrata per affrontare la rivoluzione venezuelana. La guerra dichiarata e non resa ufficiale è in atto. L’imperialismo non si placa nella sua brama di distruggere il progetto di cambiamento bolivariano, il cui consolidamento significherebbe un maggiore indebolimento da parte di un impero agonizzante che oppone resistenza nel voler perdere l’egemonia esercitata sul mondo durante il secolo XX e che ora presagisce che, nonostante il suo potere smisurato, si screpola significativamente. La perdita dell’influenza che storicamente ha avuto in America latina, il suo tradizionale cortile posteriore, sarebbe il più contundente indicatore del processo di estinzione di questo impero.
Il nostro popolo, insieme al governo bolivariano, si deve preparare per affrontare i duri momenti che si approssimano. Alla strategia di guerra imperialista dobbiamo rispondere con la strategia bolivariana di guerra da parte di tutto il popolo. Altri popoli l’hanno applicata e sono usciti vincitori da quel compromesso con la storia. Lì abbiamo, ad esempio, l’eroico e vittorioso Vietnam, il quale celebra in questo mese d’aprile i 35 anni di trionfo della sua guerra d’indipendenza dall’imperialismo americano. Lì si trova anche Cuba, degna ed eroica, che ha saputo resistere durante 51 anni alla furia imperiale.
E qui stiamo noi, i venezuelani bolivariani, affianco ai nostri fratelli latinoamericani, festeggiando il bicentenario delle nostre indipendenze, disposti a difendere con coraggio e dignità la sovranità che abbiamo riconquistato in questi 12 anni di sviluppo del progetto bolivariano e di costruzione del socialismo del secolo XXI.
Di fronte alla guerra dichiarata e non resa ufficiale, stimolata dall’imperialismo, bisogna rispondere con la guerra di tutto il popolo!.
Di fronte alla guerra mediatica imperiale, bisogna rispondere con la guerra popolare di comunicazione!
Rafforziamo la Milizia Bolivariana!
(trad. di V. Paglione)
Kulturame Classici: Pensieri D'Egitto.
Sapete come parleremo a breve/medio dell'Egitto? Così:
RDM: Oh no, i Fratelli Musulmani non sono mica Al Quaida...
K: Lapalissiano: nessuno è Al Quaida tranne Al Quaida. Certo dicono praticamente le stesse cose, anche se con termini diversi. E poi il colore del turbante non è uguale.
RDM: Non esagerate! Questo non è il 1979 e l'Egitto non è la Persia dello Shah.
K: Vero, infatti è il 2011. E certo, se in Egitto si dovesse instaurare un regime islamista, da bravi utilizzatori della Settimana Enigmistica ci metteremo a fare il gioco di "trova le 10 piccole differenze" con il regime degli Ayatollah. Scommetto che almeno 9 le troviamo, per esempio la forma dei sandali. Il corso "Come avere sempre ragione con la Settimana Enigmistica" l'abbiamo seguito tutti al baretto sotto casa.
RDM: Ma i Fratelli Musulmani parlano male di Al Quaida sui loro blog.
K: Anche i comunisti parlavano male dei nazisti. In fondo a chi piace la concorrenza?
RDM: In Egitto invece di lapidare le adultere pensano di condannarle a 500 colpi di frusta, questo è già un progresso.
K: Voi non ci credete, ma qualcosa così la diranno sul serio.
RDM: Anche con un governo islamista, l'Egitto non sarà mai, se non occasionalmente, dalla parte dell'Iran, perché quelli sono Sunniti e quell'altri Sciiti.
K: Esatto, mica i Sunniti vogliono lasciare agli Sciiti il privilegio di calciare il culo del Grande Satana Occidentale e degli Ebrei tutti da soli. E' anche una questione di immagine porco maiale!
RDM :Comunque sia, anche se ci sono islamisti dappertutto, il Medio Oriente è diviso.
K: Si, non riescono proprio a mettersi d'accordo su a chi l'Occidente deve lustrare le babbucce per primo.
RDM: Ma tanto ora c'é Obama.
K: Sia lodato Allah.
RDM: Anche se tutto il Medio Oriente diventa islamista non importa perché la minaccia del terrorismo è esagerata.
K: Vero. Il terrorismo non può distruggere l'Occidente, può solo far saltare testa, gambe e braccia a qualche passante quà e là. Anche gli attacchi al SARIN nella metro di Tokyo hanno fatto soltanto tredici morti, che, in fondo, che cosa saranno mai nel grande schema delle cose. E anche se, come dicono i più allarmisti, i terroristi facessero esplodere un ordigno nucleare a New York uccidendo, tanto peddì, due milioni di Americani? Mbé? Di Americani ce ne sono 300migglioni!
RDM: E anche la minaccia dell'Islamismo è esagerata e gonfiata.
K: Certo, è gonfiata dagli USA che, senza esagerare, la vogliono usare come pretesto per conquistare l'universo.
RDM: Gli islamisti non sono pazzi.
K: Certo, mica sono neocon.
RDM: Comunque è tutta colpa di Bush!
K: Pensa che l'ultima volta che sono andato nel 2086 con la mia macchina del tempo per vedere come era andata a finire in Medio Oriente tuo pronipote mi ha detto la stessa cosa.
RDM: Anche con gli Islamisti si può trovare un punto d'incontro.
K: Certamente. Purché il punto di partenza (la Ummah è la Ummah e voi non siete un cazzo) sia fisso e indiscutibile.
RDM: Emmò stai a esaggerà! Secondo te quelli riusciranno davvero a fondare il Califfato Globale? Essei paranoico.
K: Qualcuno avverta i sopravvissuti, se ce ne sono, dei Gulag dell'URSS: hanno fatto bene a non essere paranoici, il comunismo non ce l'ha fatta a conquistare il mondo. Yeahy!
RDM: Che poi con la scusa de difennecce dall'Islam il Grande Fratello ce realizza il 1984 in casa nostra.
K: Mah, io ste cose non le capisco perché sono paranoico.
RDM: Ma l'hai capito che l'economia dell'Occidente sta annando pe' frattocchie? Dobbiamo ddi de si a tutto.
K: E dobbiamo pure fa finta de esse contenti?
RDM: Ma non tirate sempre in ballo l'olocausto! Non vogliono ammazzare 6milioni di ebrei, vogliono solo far scomparire lo Stato Ebraico.
K: Certo, tutto quello che si fa agli ebrei al di sotto dell'olocausto cosa vuoi che sia.
RDM: Che poi, non è neanche vero che vogliono ributtare gli ebrei in mare. Vogliono solo che non esista Israele perché "Israele Stato Ebraico" è razzista.
K: In effetti se gli Ebrei in Medio Oriente, invece di girare sui Merkava, fossero solo un'altra minoranza oppressa come i Cristiani, gli Armeni, i Berberi, i Copti, i Curdi, i Caldei, gli Zoroastriani, i Baha'i, i Drusi, gli atei, gli agnostici, i secolaristi, i pagani, gli omosessuali, le donne, gli Sciiti in terra sunnita, i Sunniti in terra sciita, la tribù B in terra della tribù A, il clan dello Sceicco Abdul in terra del clan dello Sceicco Hassan, l'infedele in terra di mio cugino, mio cugino in terra di mio fratello e mio fratello in terra mia, problemi tra Occidente e islamismo non ce ne sarebbero. E soprattutto non ci sarebbe "razzismo".
RDM: Gli Islamisti ce l'hanno con l'Occidente per quello che fa, non per quello che è. E pure con Israele!
K: Già, se gli Occidentali la smettessero di fare gli Occidentali il problema non sussisterebbe. E pure sti' cazzo di Israeliani, potrebbero essere un po' meno ebrei no?
RDM: Ma tanto non li convinci delle tue tesi, perciò tanto vale abbozzare.
K: Ma tanto tu non mi convinci che la tua macchina è tua, perciò tanto vale che ammetti che è mia e mi consegni le chiavi.
RDM: Non sei realistico, pragmatico e macchiavellico, perciò è meglio che non parli sennò fai danni.
K: I coglioni almeno mi possono girare?
RDM: L'Occidente non domina più il pianeta, mettiti l'anima in pace.
K: E perché l'Occidente non domina più il pianeta Il Kulturame si deve far lordare di merda dagli islamisti? Macchisièmessointesta di esse sto "Occidente"?
RDM: Ma perché invece non ti preoccupi dei fondamentalisti cristiani nel paese tuo, della pena di morte in Texas, e di Julian Assange che la CIA lo vuole far sodomizzare da Ciccio Manganello a Guantanamo?
K: Mi sembra anche giusto: stabilito di chi non dobbiamo (ne' possiamo) assolutamente preoccuparci resta solo da capire di chi possiamo preoccuparci in santa pace.
RDM: Ma in fondo chi siamo noi per parlare?
K: Io sono Il Kulturame, chi diavolo sei tu?
RDM: Tanto è tutta 'na cosa dea CIA pe' fa' la guera.
K: Anche di mio cognato Arturo per vincere il torneo di bocce "buzzurri Vs. cafoni 2011".
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